Cella del carcere di Halden dove è detenuto Anders Breivik. Tutte le stanze hanno il bagno all'interno, tv lcd e frigobar
Breivik vince la causa contro la Norvegia: “Violati i suoi diritti umani perché in carcere è in isolamento”.
I giudici norvegesi che hanno accordato un risarcimento di circa 35000 euro al massacratore neonazista per nulla pentito che nel 2011 uccise 77 persone, per lo più giovani, definendo "condizioni di detenzione inumane" il suo isolamento in una cella di una trentina di metri con televisione computer e palestrina, hanno certamente applicato la legge.
Tanto di cappello a loro, capaci di separate l'emotività dalle fredde ragioni giuridiche. Hanno reso un servizio alla democrazia applicandone le regole senza eccezioni.
Ci fosse davvero una Europa unita con leggi uguali per tutti a tutela delle garanzie dei suoi cittadini.
Già, ma La Norvegia non fa parte dell'Europa!
Questo da distaccato commentatore, perché se fossi un genitore al quale costui ha ucciso i figli probabilmente vorrei vederlo appeso per le palle in un buio antro pieno di topi finché "morte non sopraggiunga".
Vendetta tremenda vendetta! Anche se non allevia minimamente il dolore.
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Restare in vita
In un grande processo politico anche gli accusati
di quart’ordine si presero l’ergastolo: lui fece sei anni, in
isolamento per giunta e senza aver commesso nessuna colpa. La prigione
fiaccò i suoi compagni, uno dopo l’altro, nei loro punti più deboli, chi
al cuore, chi ai polmoni, chi nell’equilibrio psichico.
Lui, che
aveva i nervi troppo sensibili, già dopo sei settimane fu colto da una
crisi di pianto. Ma mentre chinava la testa scorse sul ripiano del
tavolo una formica. Dimenticò così anche di piangere.
Stette a
guardarla lottare con una briciola di pane. Poi con l’unghia spinse la
briciola sempre più in là. E passò una settimana a far percorrere alla
formica tutto il perimetro del tavolo.
La notte la mise nella fiala
vuota di un medicinale e il giorno dopo la fece arrampicare su di un
fiammifero. Si accorse ben presto che la bestiola si lasciava
addomesticare molto più facilmente con dei frammenti di carne piuttosto
che con le briciole di pane; e in effetti, dopo otto mesi, era riuscito
ad abituarla a giocare all’altalena su due fiammiferi incrociati. Certo,
quello strisciare esitante qua e là poteva essere definito
un’altalenare solo con una certa buona volontà, ma il risultato lo rese
tuttavia quasi felice.
Passato il terzo anno, in considerazione della
sua buona condotta e in segno di particolare favore, gli fu concesso di
chiedere carta, penna e qualcosa da leggere. Lui rifiutò con fiera
ostinazione, del resto la formica sapeva ormai far rotolare un seme di
papavero, proveniente da un dolce del Natale passato. Ma lui non era
soddisfatto neanche di quell’esibizione, perché rientrava ancora nei
confini delle naturali possibilità di una formica. Se avesse potuto
farla stare in piedi su due zampe, allora la cosa avrebbe avuto dello
straordinario... Ci vollero diciotto mesi, ma ci riuscì.
Dopo un
altro anno e mezzo gli fecero discretamente sapere che di lì a poco
l’avrebbero riabilitato e rimesso in libertà. Per quel momento fu pronta
la grande esibizione: la formica, reggendosi su due zampe, gettava in
alto il seme di papavero e lo riafferrava. Ovvero, si sarebbe potuto
dire – di nuovo con un po’ di buona volontà – che la formica aveva
imparato a giocare a palla!
– Datemi una lente, – disse ai figli, con
un sorriso pieno di promesse, dopo la prima cena consumata a casa. – Ho
una formica ammaestrata!
– Dove? – chiese la moglie.
Rigirarono
la fiala da ogni parte. La guardarono con la lente, la avvicinarono
anche alla lampada, ma invano. E, quel che è più strano, neanche lui la
vedeva più!
(István Örkény, Novelle da un minuto, e/o, Roma, 1988)
Lo stato d’eccezione provocato da un’emergenza immotivata
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