I giudici hanno messo sotto accusa Salvini non perché puttaniere (che sarebbero fatti suoi) o per frode fiscale (che sono fatti di noi tutti!), ma per sequestro di persona aggravato. Al di là dell'aspetto tecnicamente giuridico, sul quali non ho competenza per esprimermi, non può sfuggire la valenza politica della questione. Se il Ministro dell'Interno è apparso comunque da subito in una botte di ferro, per svariati motivi, i cinque stelle da subito si sono trovati a subire quello che a scacchi si chiama un doppio attacco (cioè quando comunque si è messi nella condizione di perdere un pezzo). Sottrarre Salvini alla magistratura, contrariamente ai principi da sempre sbandierati, perdendo faccia e credibilità oppure rischiare di far cadere il governo permettendo al leader leghista di aumentare ancor più la sua popolarità tra coloro che lo ritengono un salvatore della patria? Hanno optato per la prima scelta forse consapevoli che, nonostante gli strepiti fattoquotidianeschi del super giustizialista Travaglio che sembra aver vissuto la vicenda come un affronto personale, di faccia da perdere gliene resta ormai poca. Meglio così piuttosto del rischio di veder terminare, magari per sempre, la loro avventura governativa. Probabilmente perderanno ancora consensi, ma fintanto che Salvini avrà bisogno di loro per proseguire nella sua resistibile ascesa - scrollandosi di dosso il sempre ingombrante Berlusconi - i capetti pentastellati, così come i loro peones, parlamentari per caso, potranno garantirsi il culetto al caldo sui banchi del governo e sugli scranni parlamentari.
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