Oggi Pier Paolo Pasolini avrebbe compiuto novant'anni.
È morto invece 37 anni fa, di morte violenta. Aveva 43 anni.
Purtroppo per l'occasione ieri sull'Unità è uscito un articolo di Giancarlo Liviano D’Arcangelo, Pasolini. I 90 anni del poeta corsaro, degno di essere nominato all'Oscar della stupidità (non tanto per quanto dice, ma per come lo dice).
In questi giorni i professionisti della gogna mediatica (di "destra e di "sinistra") ci hanno dato dentro con citazioni a sproposito da Pasolini per dimostrare quanto siano cattivi i manifestanti no-Tav e buoni i tutori dell'ordine.
Non ci torno su, mi sono già espresso in merito nel post Siamo tutti NO-TAV, "pecorelle" tra un branco di lupi.
Propongo a fondo pagina - per chi ne abbia voglia - Il Pci ai giovani, una lettura completa del lungo testo dal quale furbastri che non l'hanno letto o capito (e sicuri che altri non l'abbiano letto o capito come loro) estrapolano frasi per dimostrare l'assurda tesi che Pasolini fosse dalla parte dei poliziotti e contro gli studenti.
Vien fuori dalla poesia (non particolarmente riuscita, per altro, e che denota anche l'irrimediabile differenza generazionale tra il poeta e il movimento del '68) una idea di rivoluzione "pasoliniana" proletaria che dovrebbe far rabbrividire tanti suoi borghesi e "sinistri" estimatori.
Mi è caro però concludere questo ricordo pasoliniano con una poesia tra le più significative, ancor oggi, di una condizione umana condivisa, più o meno consciamente, da tante donne-oggetto simbolo non tramontato dell'epopea berlusconiana.
Marilyn
(legge Laura Betti, musica di Marcello Panni, Giro a vuoto n.3, Milano, 1962)
https://youtu.be/tguiB6YhFX8
Del mondo antico e del mondo futuro
era rimasta solo la bellezza, e tu,
povera sorellina minore,
quella che corre dietro ai fratelli più grandi,
e ride e piange con loro, per imitarli,
e si mette addosso le loro sciarpette,
tocca non vista i loro libri, i loro coltellini,
tu sorellina più piccola,
quella bellezza l’avevi addosso umilmente,
e la tua anima di figlia di piccola gente,
non ha mai saputo di averla,
perché altrimenti non sarebbe stata bellezza.
Sparì, come un pulviscolo d’oro.
Il mondo te l’ha insegnata.
Così la tua bellezza divenne sua.
Dello stupido mondo antico
e del feroce mondo futuro
era rimasta una bellezza che non si vergognava
di alludere ai piccoli seni di sorellina,
al piccolo ventre così facilmente nudo.
E per questo era bellezza, la stessa
che hanno le dolci mendicanti di colore,
le zingare, le figlie dei commercianti
vincitrici ai concorsi a Miami o a Roma.
Sparì, come una colombella d’oro.
Il mondo te l’ha insegnata,
e così la tua bellezza non fu più bellezza.
Ma tu continuavi ad essere bambina,
sciocca come l’antichità, crudele come il futuro,
e fra te e la tua bellezza posseduta dal potere
si mise tutta la stupidità e la crudeltà del presente.
Te la portavi sempre dentro, come un sorriso tra le lacrime,
impudica per passività, indecente per obbedienza.
L’obbedienza richiede molte lacrime inghiottite.
Il darsi agli altri,
troppi allegri sguardi, che chiedono la loro pietà.
Sparì, come una bianca ombra d’oro.
La tua bellezza sopravvissuta dal mondo antico,
richiesta dal mondo futuro, posseduta
dal mondo presente, divenne così un male.
Ora i fratelli maggiori finalmente si voltano,
smettono per un momento i loro maledetti giochi,
escono dalla loro inesorabile distrazione,
e si chiedono: «È possibile che Marilyn,
la piccola Marilyn ci abbia indicato la strada?»
Ora sei tu, la prima, tu sorella più piccola,
quella che non conta nulla, poverina, col suo sorriso,
sei tu la prima oltre le porte del mondo
abbandonato al suo destino di morte.
(Pier Paolo Pasolini, Poesie per musica, in Tutte le poesie, II, Meridiani, Milano 2003)
Il Pci ai giovani
Mi dispiace. La polemica contro
il Pci andava fatta nella prima metà
del decennio passato. Siete in ritardo, cari.
Non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati:
peggio per voi.
Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come ancora si dice nel linguaggio
goliardico) il culo. Io no, cari.
Avete facce di figli di papà.
Vi odio come odio i vostri papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete pavidi, incerti, disperati
(benissimo!) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati:
prerogative piccolo-borghesi, cari.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli; la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio
furerie e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
è lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in un tipo d’esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, cari (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, cari. Stampa e Corriere della Sera, News- week e Monde
vi leccano il culo. Siete i loro figli,
la loro speranza, il loro futuro: se vi rimproverano
non si preparano certo a una lotta di classe
contro di voi! Se mai,
si tratta di una lotta intestina.
Per chi, intellettuale o operaio,
è fuori da questa vostra lotta, è molto divertente la idea
che un giovane borghese riempia di botte un vecchio
borghese, e che un vecchio borghese mandi in galera
un giovane borghese. Blandamente
i tempi di Hitler ritornano: la borghesia
ama punirsi con le sue proprie mani.
Chiedo perdono a quei mille o duemila giovani miei fratelli
che operano a Trento o a Torino,
a Pavia o a Pisa, a Firenze e un po’ anche a Roma,
ma devo dire: il movimento studentesco
non frequenta i vangeli la cui lettura
i suoi adulatori di mezza età gli attribuiscono
per sentirsi giovani e crearsi verginità ricattatrici;
una sola cosa gli studenti realmente conoscono:
il moralismo del padre magistrato o professionista,
il teppismo conformista del fratello maggiore
(naturalmente avviato per la strada del padre),
l’odio per la cultura che ha la loro madre, di origini
contadine anche se già lontane.
Questo, cari figli, sapete.
E lo applicate attraverso due inderogabili sentimenti:
la coscienza dei vostri diritti (si sa, la democrazia
prende in considerazione solo voi) e l’aspirazione
al potere.
Sì, i vostri orribili slogan vertono sempre
sulla presa di potere.
Leggo nelle vostre barbe ambizioni impotenti,
nei vostri pallori snobismi disperati,
nei vostri occhi sfuggenti dissociazioni sessuali,
nella troppa salute prepotenza, nella poca salute disprezzo
(solo per quei pochi di voi che vengono dalla borghesia
infima, o da qualche famiglia operaia
questi difetti hanno qualche nobiltà:
conosci te stesso e la scuola di Barbiana!)
Riformisti!
Reificatori!
Occupate le università
ma dite che la stessa idea venga
a dei giovani operai.
E allora: Corriere della Sera e Stampa, Newsweek e Monde
avranno tanta sollecitudine
nel cercar di comprendere i loro problemi?
La polizia si limiterà a prendere un po’ di botte
dentro una fabbrica occupata?
Ma, soprattutto, come potrebbe concedersi
un giovane operaio di occupare una fabbrica
senza morire di fame dopo tre giorni?
e andate a occupare le università, cari figli,
ma date metà dei vostri emolumenti paterni sia pur scarsi
a dei giovani operai perché possano occupare,
insieme a voi, le loro fabbriche. Mi dispiace.
È un suggerimento banale;
e ricattatorio. Ma soprattutto inutile:
perché voi siete borghesi
e quindi anticomunisti. Gli operai, loro,
sono rimasti al 1950 e più indietro.
Un’idea archeologica come quella della Resistenza
(che andava contestata venti anni fa,
e peggio per voi se non eravate ancora nati)
alligna ancora nei petti popolari, in periferia.
Sarà che gli operai non parlano né il francese né l’inglese,
e solo qualcuno, poveretto, la sera, in cellula,
si è dato da fare per imparare un po’ di russo.
Smettetela di pensare ai vostri diritti,
smettetela di chiedere il potere.
Un borghese redento deve rinunciare a tutti i suoi diritti,
a bandire dalla sua anima, una volta per sempre,
l’idea del potere.
Se il Gran Lama sa di essere il Gran Lama
vuol dire che non è il Gran Lama (Artaud):
quindi, i Maestri
- che sapranno sempre di essere Maestri -
non saranno mai Maestri: né Gui né voi
riuscirete mai a fare dei Maestri.
I Maestri si fanno occupando le Fabbriche
non le università: i vostri adulatori (anche Comunisti)
non vi dicono la banale verità: che siete una nuova
specie idealista di qualunquisti: come i vostri padri,
come i vostri padri, ancora, cari! Ecco,
gli Americani, vostri adorabili coetanei,
coi loro sciocchi fiori, si stanno inventando,
loro, un nuovo linguaggio rivoluzionario!
Se lo inventano giorno per giorno!
Ma voi non potete farlo perché in Europa ce n’è già uno:
potreste ignorarlo?
Sì, voi volete ignorarlo (con grande soddisfazione
del Times e del Tempo).
Lo ignorate andando, con moralismo provinciale,
“più a sinistra”.
Strano,
abbandonando il linguaggio rivoluzionario
del povero, vecchio, togliattiano, ufficiale
Partito Comunista,
ne avete adottato una variante ereticale
ma sulla base del più basso idioma referenziale
dei sociologi senza ideologia.
Così parlando,
chiedete tutto a parole,
mentre, coi fatti, chiedete solo ciò
a cui avete diritto (da bravi figli borghesi):
una serie di improrogabili riforme
l’applicazione di nuovi metodi pedagogici
e il rinnovamento di un organismo statale. I Bravi! Santi sentimenti!
Che la buona stella della borghesia vi assista!
Inebriati dalla vittoria contro i giovanotti
della polizia costretti dalla povertà a essere servi,
e ubriacati dell’interesse dell’opinione pubblica
borghese (con cui voi vi comportate come donne
non innamorate, che ignorano e maltrattano
lo spasimante ricco)
mettete da parte l’unico strumento davvero pericoloso
per combattere contro i vostri padri:
ossia il comunismo.
Spero che l’abbiate capito
che fare del puritanesimo
è un modo per impedirsi
la noia di un’azione rivoluzionaria vera.
Ma andate, piuttosto, pazzi, ad assalire Federazioni!
Andate a invadere Cellule!
andate ad occupare gli usci
del Comitato Centrale: Andate, andate
ad accamparvi in Via delle Botteghe Oscure!
Se volete il potere, impadronitevi, almeno, del potere
di un Partito che è tuttavia all’opposizione
(anche se malconcio, per la presenza di signori
in modesto doppiopetto, bocciofili, amanti della litote,
borghesi coetanei dei vostri schifosi papà)
ed ha come obiettivo teorico la distruzione del Potere.
Che esso si decide a distruggere, intanto,
ciò che un borghese ha in sé,
dubito molto, anche col vostro apporto,
se, come dicevo, buona razza non mente...
Ad ogni modo: il Pci ai giovani, ostia!
Ma, ahi, cosa vi sto suggerendo? Cosa vi sto
consigliando? A cosa vi sto sospingendo?
Mi pento, mi pento!
Ho perso la strada che porta al minor male,
che Dio mi maledica. Non ascoltatemi.
Ahi, ahi, ahi,
ricattato ricattatore,
davo fiato alle trombe del buon senso.
Ma, mi son fermato in tempo,
salvando insieme,
il dualismo fanatico e l’ambiguità...
Ma son giunto sull’orlo della vergogna.
Oh Dio! che debba prendere in considerazione
l’eventualità di fare al vostro fianco la Guerra Civile
accantonando la mia vecchia idea di Rivoluzione?
(“Il Pci ai giovani”, L'Espresso, 16 giugno 1968)
...
Del mondo antico e del mondo futuro
era rimasta solo la bellezza, e tu,
povera sorellina minore,
quella che corre dietro ai fratelli più grandi,
e ride e piange con loro, per imitarli,
e si mette addosso le loro sciarpette,
tocca non vista i loro libri, i loro coltellini,
tu sorellina più piccola,
quella bellezza l’avevi addosso umilmente,
e la tua anima di figlia di piccola gente,
non ha mai saputo di averla,
perché altrimenti non sarebbe stata bellezza.
Sparì, come un pulviscolo d’oro.
Il mondo te l’ha insegnata.
Così la tua bellezza divenne sua.
Dello stupido mondo antico
e del feroce mondo futuro
era rimasta una bellezza che non si vergognava
di alludere ai piccoli seni di sorellina,
al piccolo ventre così facilmente nudo.
E per questo era bellezza, la stessa
che hanno le dolci mendicanti di colore,
le zingare, le figlie dei commercianti
vincitrici ai concorsi a Miami o a Roma.
Sparì, come una colombella d’oro.
Il mondo te l’ha insegnata,
e così la tua bellezza non fu più bellezza.
Ma tu continuavi ad essere bambina,
sciocca come l’antichità, crudele come il futuro,
e fra te e la tua bellezza posseduta dal potere
si mise tutta la stupidità e la crudeltà del presente.
Te la portavi sempre dentro, come un sorriso tra le lacrime,
impudica per passività, indecente per obbedienza.
L’obbedienza richiede molte lacrime inghiottite.
Il darsi agli altri,
troppi allegri sguardi, che chiedono la loro pietà.
Sparì, come una bianca ombra d’oro.
La tua bellezza sopravvissuta dal mondo antico,
richiesta dal mondo futuro, posseduta
dal mondo presente, divenne così un male.
Ora i fratelli maggiori finalmente si voltano,
smettono per un momento i loro maledetti giochi,
escono dalla loro inesorabile distrazione,
e si chiedono: «È possibile che Marilyn,
la piccola Marilyn ci abbia indicato la strada?»
Ora sei tu, la prima, tu sorella più piccola,
quella che non conta nulla, poverina, col suo sorriso,
sei tu la prima oltre le porte del mondo
abbandonato al suo destino di morte.
(Pier Paolo Pasolini, Poesie per musica, in Tutte le poesie, II, Meridiani, Milano 2003)
Il Pci ai giovani
Mi dispiace. La polemica contro
il Pci andava fatta nella prima metà
del decennio passato. Siete in ritardo, cari.
Non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati:
peggio per voi.
Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come ancora si dice nel linguaggio
goliardico) il culo. Io no, cari.
Avete facce di figli di papà.
Vi odio come odio i vostri papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete pavidi, incerti, disperati
(benissimo!) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati:
prerogative piccolo-borghesi, cari.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli; la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio
furerie e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
è lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in un tipo d’esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, cari (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, cari. Stampa e Corriere della Sera, News- week e Monde
vi leccano il culo. Siete i loro figli,
la loro speranza, il loro futuro: se vi rimproverano
non si preparano certo a una lotta di classe
contro di voi! Se mai,
si tratta di una lotta intestina.
Per chi, intellettuale o operaio,
è fuori da questa vostra lotta, è molto divertente la idea
che un giovane borghese riempia di botte un vecchio
borghese, e che un vecchio borghese mandi in galera
un giovane borghese. Blandamente
i tempi di Hitler ritornano: la borghesia
ama punirsi con le sue proprie mani.
Chiedo perdono a quei mille o duemila giovani miei fratelli
che operano a Trento o a Torino,
a Pavia o a Pisa, a Firenze e un po’ anche a Roma,
ma devo dire: il movimento studentesco
non frequenta i vangeli la cui lettura
i suoi adulatori di mezza età gli attribuiscono
per sentirsi giovani e crearsi verginità ricattatrici;
una sola cosa gli studenti realmente conoscono:
il moralismo del padre magistrato o professionista,
il teppismo conformista del fratello maggiore
(naturalmente avviato per la strada del padre),
l’odio per la cultura che ha la loro madre, di origini
contadine anche se già lontane.
Questo, cari figli, sapete.
E lo applicate attraverso due inderogabili sentimenti:
la coscienza dei vostri diritti (si sa, la democrazia
prende in considerazione solo voi) e l’aspirazione
al potere.
Sì, i vostri orribili slogan vertono sempre
sulla presa di potere.
Leggo nelle vostre barbe ambizioni impotenti,
nei vostri pallori snobismi disperati,
nei vostri occhi sfuggenti dissociazioni sessuali,
nella troppa salute prepotenza, nella poca salute disprezzo
(solo per quei pochi di voi che vengono dalla borghesia
infima, o da qualche famiglia operaia
questi difetti hanno qualche nobiltà:
conosci te stesso e la scuola di Barbiana!)
Riformisti!
Reificatori!
Occupate le università
ma dite che la stessa idea venga
a dei giovani operai.
E allora: Corriere della Sera e Stampa, Newsweek e Monde
avranno tanta sollecitudine
nel cercar di comprendere i loro problemi?
La polizia si limiterà a prendere un po’ di botte
dentro una fabbrica occupata?
Ma, soprattutto, come potrebbe concedersi
un giovane operaio di occupare una fabbrica
senza morire di fame dopo tre giorni?
e andate a occupare le università, cari figli,
ma date metà dei vostri emolumenti paterni sia pur scarsi
a dei giovani operai perché possano occupare,
insieme a voi, le loro fabbriche. Mi dispiace.
È un suggerimento banale;
e ricattatorio. Ma soprattutto inutile:
perché voi siete borghesi
e quindi anticomunisti. Gli operai, loro,
sono rimasti al 1950 e più indietro.
Un’idea archeologica come quella della Resistenza
(che andava contestata venti anni fa,
e peggio per voi se non eravate ancora nati)
alligna ancora nei petti popolari, in periferia.
Sarà che gli operai non parlano né il francese né l’inglese,
e solo qualcuno, poveretto, la sera, in cellula,
si è dato da fare per imparare un po’ di russo.
Smettetela di pensare ai vostri diritti,
smettetela di chiedere il potere.
Un borghese redento deve rinunciare a tutti i suoi diritti,
a bandire dalla sua anima, una volta per sempre,
l’idea del potere.
Se il Gran Lama sa di essere il Gran Lama
vuol dire che non è il Gran Lama (Artaud):
quindi, i Maestri
- che sapranno sempre di essere Maestri -
non saranno mai Maestri: né Gui né voi
riuscirete mai a fare dei Maestri.
I Maestri si fanno occupando le Fabbriche
non le università: i vostri adulatori (anche Comunisti)
non vi dicono la banale verità: che siete una nuova
specie idealista di qualunquisti: come i vostri padri,
come i vostri padri, ancora, cari! Ecco,
gli Americani, vostri adorabili coetanei,
coi loro sciocchi fiori, si stanno inventando,
loro, un nuovo linguaggio rivoluzionario!
Se lo inventano giorno per giorno!
Ma voi non potete farlo perché in Europa ce n’è già uno:
potreste ignorarlo?
Sì, voi volete ignorarlo (con grande soddisfazione
del Times e del Tempo).
Lo ignorate andando, con moralismo provinciale,
“più a sinistra”.
Strano,
abbandonando il linguaggio rivoluzionario
del povero, vecchio, togliattiano, ufficiale
Partito Comunista,
ne avete adottato una variante ereticale
ma sulla base del più basso idioma referenziale
dei sociologi senza ideologia.
Così parlando,
chiedete tutto a parole,
mentre, coi fatti, chiedete solo ciò
a cui avete diritto (da bravi figli borghesi):
una serie di improrogabili riforme
l’applicazione di nuovi metodi pedagogici
e il rinnovamento di un organismo statale. I Bravi! Santi sentimenti!
Che la buona stella della borghesia vi assista!
Inebriati dalla vittoria contro i giovanotti
della polizia costretti dalla povertà a essere servi,
e ubriacati dell’interesse dell’opinione pubblica
borghese (con cui voi vi comportate come donne
non innamorate, che ignorano e maltrattano
lo spasimante ricco)
mettete da parte l’unico strumento davvero pericoloso
per combattere contro i vostri padri:
ossia il comunismo.
Spero che l’abbiate capito
che fare del puritanesimo
è un modo per impedirsi
la noia di un’azione rivoluzionaria vera.
Ma andate, piuttosto, pazzi, ad assalire Federazioni!
Andate a invadere Cellule!
andate ad occupare gli usci
del Comitato Centrale: Andate, andate
ad accamparvi in Via delle Botteghe Oscure!
Se volete il potere, impadronitevi, almeno, del potere
di un Partito che è tuttavia all’opposizione
(anche se malconcio, per la presenza di signori
in modesto doppiopetto, bocciofili, amanti della litote,
borghesi coetanei dei vostri schifosi papà)
ed ha come obiettivo teorico la distruzione del Potere.
Che esso si decide a distruggere, intanto,
ciò che un borghese ha in sé,
dubito molto, anche col vostro apporto,
se, come dicevo, buona razza non mente...
Ad ogni modo: il Pci ai giovani, ostia!
Ma, ahi, cosa vi sto suggerendo? Cosa vi sto
consigliando? A cosa vi sto sospingendo?
Mi pento, mi pento!
Ho perso la strada che porta al minor male,
che Dio mi maledica. Non ascoltatemi.
Ahi, ahi, ahi,
ricattato ricattatore,
davo fiato alle trombe del buon senso.
Ma, mi son fermato in tempo,
salvando insieme,
il dualismo fanatico e l’ambiguità...
Ma son giunto sull’orlo della vergogna.
Oh Dio! che debba prendere in considerazione
l’eventualità di fare al vostro fianco la Guerra Civile
accantonando la mia vecchia idea di Rivoluzione?
(“Il Pci ai giovani”, L'Espresso, 16 giugno 1968)