Capisco come alle persone colte e raffinate il Web, con la sua rozzezza, faccia orrore.
In effetti, talvolta, provoca disgusto simile a quello che assale entrando in una latrina piena di merda, di scritte e disegni osceni (anche senza essere particolarmente ricercati).
E allora se la signora Boldrini, giustamente, s'inalbera per il trattamento che le riservano i beceroni on-line (Laura Boldrini: ''Sulla Rete campagne d’odio, è te...) e le scappa qualche parola di troppo sulla necessità di fare leggi - che già ci sono! - per il controllo della rete (Web e anarchia, lettera aperta a Laura Boldrini), subito trova chi ne amplifica e distorce le dichiarazioni nel tentativo di riproporre inaccettabili censure e sanzioni col fine reale, non dichiarato, di ammazzare la libertà d'espressione.
A molti, giornalisti in primis, non va giù che la comunicazione on-line abbia soppiantato il loro ruolo di mentori del pubblico pensiero. Non ai veri giornalisti, quelli che indagano, fanno inchieste, corrono di persona là dove c'è il pericolo, in una parola, si sbattono, i professionisti dell'informazione, insomma. Bensì agli editorialisti che infiorettano da tempi immemorabili le pagine dei quotidiani e debordano dagli schermi televisivi, sempre comodamente allocati nelle redazioni o in lussuosi alberghi, sempre a caccia di una poltrona più importante dove piazzarsi.
Inutile far nomi si sa chi sono. Sono gli stessi che cinguettano rigorosamente tra loro anche su twitter, autoreferenziali in rete come sulle pagine stampate o in televisione.
L'altra categoria alla quale la libera comunicazione non va proprio giù e, potendo, la strozzerebbe volentieri è quella dei politici. La ragione è sotto gli occhi di tutti.
Uno dei paladini di sanzioni che, se messe in atto, minerebbero la libertà di pensiero in Internet ed impedirebbero l'esistenza stessa di Wikipedia è il berluscon-democristiano Giampiero D'Alia, promosso a guidare il Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione - pur con un suo tasso d'assenteismo in aula di quasi il cinquanta per cento (più o meno come se si andasse a lavorare un giorno ogni due dovuti).
Ciò detto sia chiaro che, da detentore di un Blog da quasi dieci anni, sono favorevole alla massima responsabilizzazione di chi scrive in rete. Per quanto letto da quattro gatti personalmente mi attengo alla massima accuratezza nel dare informazioni, controllo costantemente ogni fonte, evitando le bufale proliferanti in internet, e mi impegno a rispettare, nei limiti del possibile, la necessaria netiquette.
I social network sono altra cosa. Appunto hanno più la caratteristica di cessi pubblici dove anche chi non si è mai sognato di possedere idee proprie, vomita tutto quello che mal digerisce nella sua esistenza. È una loro peculiarità abbastanza disgustosa, e tuttavia svolgono l'utile funzione di evacuare scorie da sempre presenti nei corpi e nelle menti degli umani, ma oscurate dai benpensanti, che preferiscono nasconderle come polvere sotto i tappeti. Internet ha smascherato l'inganno mostrando abissi di depravazione di cui, pur conoscendone l'esistenza, poco si conversa nei buoni salotti.
È un peccato che strumenti potenzialmente meravigliosi, se usati correttamente, finiscano per essere discariche a cielo aperto. Ma che dire di un elemento come Borghezio*, ad esempio, che dice ignominie, smisuratamente pagato dalla collettività come parlamentare europeo? E dei commenti abominevoli all'articolo de Il Giornale «Chi è Cécile Kyenge, primo ministro di colore»?
Ben ha fatto Laura Boldrini, dopo aver espresso tutta la sua amarezza per come viene bistrattata la sua vita privata non solo sul Web, ma anche dalle frotte di giornalisti appostati sotto casa, a dichiararsi estranea ad ogni volontà di censura. "Nell'intervista non parlo mai né di anarchia, né di censura, né della necessità di una nuova legge" precisa sulla sua pagina FaceBook.
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* Fuori Borghezio dal Parlamento europeo. #iostoconCecileKyenge
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