2016-04-22

Breivik. Non ci sono più le prigioni di una volta! - István Örkény - Restare in vita

Cella del carcere di Halden dove è detenuto Anders Breivik. Tutte le stanze hanno il bagno all'interno, tv lcd e frigobar

Breivik vince la causa contro la Norvegia: “Violati i suoi diritti umani perché in carcere è in isolamento”.
I giudici norvegesi che hanno accordato un risarcimento di circa 35000 euro al massacratore neonazista per nulla pentito che nel 2011 uccise 77 persone, per lo più giovani, definendo "condizioni di detenzione inumane" il suo isolamento in una cella di una trentina di metri con televisione computer e palestrina, hanno certamente applicato la legge.
Tanto di cappello a loro, capaci di separate l'emotività dalle fredde ragioni giuridiche. Hanno reso un servizio alla democrazia applicandone le regole senza eccezioni.
Ci fosse davvero una Europa unita con leggi uguali per tutti a tutela delle garanzie dei suoi cittadini.
Già, ma La Norvegia non fa parte dell'Europa!
Questo da distaccato commentatore, perché se fossi un genitore al quale costui ha ucciso i figli probabilmente vorrei vederlo appeso per le palle in un buio antro pieno di topi finché "morte non sopraggiunga".
Vendetta tremenda vendetta! Anche se non allevia minimamente il dolore.

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Restare in vita

In un grande processo politico anche gli accusati di quart’ordine si presero l’ergastolo: lui fece sei anni, in isolamento per giunta e senza aver commesso nessuna colpa. La prigione fiaccò i suoi compagni, uno dopo l’altro, nei loro punti più deboli, chi al cuore, chi ai polmoni, chi nell’equilibrio psichico.
Lui, che aveva i nervi troppo sensibili, già dopo sei settimane fu colto da una crisi di pianto. Ma mentre chinava la testa scorse sul ripiano del tavolo una formica. Dimenticò così anche di piangere.
Stette a guardarla lottare con una briciola di pane. Poi con l’unghia spinse la briciola sempre più in là. E passò una settimana a far percorrere alla formica tutto il perimetro del tavolo.
La notte la mise nella fiala vuota di un medicinale e il giorno dopo la fece arrampicare su di un fiammifero. Si accorse ben presto che la bestiola si lasciava addomesticare molto più facilmente con dei frammenti di carne piuttosto che con le briciole di pane; e in effetti, dopo otto mesi, era riuscito ad abituarla a giocare all’altalena su due fiammiferi incrociati. Certo, quello strisciare esitante qua e là poteva essere definito un’altalenare solo con una certa buona volontà, ma il risultato lo rese tuttavia quasi felice.
Passato il terzo anno, in considerazione della sua buona condotta e in segno di particolare favore, gli fu concesso di chiedere carta, penna e qualcosa da leggere. Lui rifiutò con fiera ostinazione, del resto la formica sapeva ormai far rotolare un seme di papavero, proveniente da un dolce del Natale passato. Ma lui non era soddisfatto neanche di quell’esibizione, perché rientrava ancora nei confini delle naturali possibilità di una formica. Se avesse potuto farla stare in piedi su due zampe, allora la cosa avrebbe avuto dello straordinario... Ci vollero diciotto mesi, ma ci riuscì.
Dopo un altro anno e mezzo gli fecero discretamente sapere che di lì a poco l’avrebbero riabilitato e rimesso in libertà. Per quel momento fu pronta la grande esibizione: la formica, reggendosi su due zampe, gettava in alto il seme di papavero e lo riafferrava. Ovvero, si sarebbe potuto dire – di nuovo con un po’ di buona volontà – che la formica aveva imparato a giocare a palla!
– Datemi una lente, – disse ai figli, con un sorriso pieno di promesse, dopo la prima cena consumata a casa. – Ho una formica ammaestrata!
– Dove? – chiese la moglie.
Rigirarono la fiala da ogni parte. La guardarono con la lente, la avvicinarono anche alla lampada, ma invano. E, quel che è più strano, neanche lui la vedeva più!

(István Örkény, Novelle da un minuto, e/o, Roma, 1988)



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