2016-11-03

Pier Paolo Pasolini visto da Alberto Arbasino


A quarantuno anni di distanza dal "delitto politico" (perché alla fin fine questa è stata la caratteristica dell'assassinio) di Pier Paolo Pasolini, forse il ritratto più aderente alla sua figura lo dobbiamo non certo al film distratto di Abel Ferrara - nonostante la volonterosa interpretazione di Willem Dafoe - ma, a mio avviso, ad Alberto Arbasino (Ritratti italiani, Adelphi, 2014)

Il pezzo dedicato da Arbasino a Pasolini inizia con le risposte "stese accuratamente, e poi da lui [Pasolini] vidimate, riaggiustate, corrette" a una intervista dell'amico Arbasino.

Dice Pasolini:
«Non ho esperienza diretta del benessere. Per me, non c’è. Non abito mica a Milano, io. E, d’altra parte, ricevo almeno quattro o cinque lettere al giorno, con richiesta di aiuti finanziari, e almeno sette otto persone al giorno si rivolgono a me disperatamente per essere aiutate a trovare lavoro. È certamente un caso eccezionale, il mio. Ma io vivo immerso nel mondo della necessità più angosciosa.
[...]
Maledetti! Parlano di benessere: e per di più pretendono che se ne parli come di un fatto scientificamente provato, reale, palpitante, ferocemente attuale. Chi non lo ammette è fuori moda, squalificato.
[...]
il neocapitalismo rende più profonda la divisione tra Nord e Sud, man mano che il Nord arricchisce, il Sud – in senso relativo e assoluto – impoverisce. Io sono nelle condizioni di percepire solo questo regresso (tu sai bene che il Sud comincia alla periferia di Roma): è l’impoverimento dell’Italia che è, per me, l’attualità, il fatto ‘di moda’».
[...]
«Due Preistorie: la Preistoria arcaica del Sud, e la Preistoria Nuova del Nord. Io... Non ho armi per affrontare le ‘masse’ padano-americane. La coesistenza delle due Preistorie (e la lenta fine della Storia, che si identifica ormai, soltanto, nella razionalità marxista) mi rende un uomo solo, davanti a una scelta ugualmente disperata: perdermi nella preistoria meridionale, africana, nei reami di Bandung, o gettarmi a capo fitto nella preistoria del neocapitalismo, nella meccanicità della vita delle popolazioni ad alto livello industriale, nei reami della Televisione. I nostri figli si perdono in questo futuro, cento, duecento, duemila, diecimila, trentamila anni. Il miliardo di contadini biblici che ancora oggi vivono in una condizione preistorica, piano piano creperanno, o diventeranno un’altra razza umana. Gli altri, gli industrializzati, dalla nostra prospettiva, ci riescono umanamente inconoscibili. Si produrrà e si consumerà, ecco. E il mondo sarà esattamente come oggi la Televisione – questa degenerazione dei sensi umani – ce lo descrive, con stupenda, atroce ispirazione profetica».

«L’unico antenato spirituale che conta è Marx, e il suo dolce, irto, leopardiano figlio, Gramsci. Ma non lo dico come lo avrei detto solo un anno o due fa. Mesi e mesi di angoscia, di terrore, di vergogna, di ira, di pietà, avranno pur contato, nella mia vita.
[...]
Da’ un’occhiata, con me, agli anni Cinquanta, appena lì, alle nostre spalle. Non li trovi ridicoli? “Un ridicolo decennio”, è questo un libro di “racconti da farsi” che ho in mente (e che non farò).
[...]
Il ridicolo è dovuto al moralismo. E bada che questo moralismo serpeggia anche nelle sinistre (tutte le coazioni operate nell’analisi del marxismo altrui, che ha fatto per tanti anni della critica di sinistra una specie di caccia alle streghe – che tendeva poi a castrare l’autore, pretendendo da lui una purezza di sentimento marxista assolutamente astratta). Ora, quel moralismo di piccolo-borghese che cerca risarcimenti alla propria impotenza, trionfa col centro-sinistra: in cui i democristiani appaiono, devo dirlo, molto simpatici, i socialisti antipatici. Il moralismo politico-ideologico dell’Avanti – per una specie di complesso di colpa che diventa rigorismo – ha delle strane coincidenze col moralismo – tutto in malafede, naturalmente – dei giornali scandalistici della borghesia. Questo è l’ultimo colpo per la vita associata e civile italiana».

«Bandung. Adopero questa parola in tutta l’estensione del suo significato, ivi compresa anche la rinascita, la lotta per la rinascita, la strada da percorrere per raggiungerci quaggiù nella nostra magnifica storicità. Adopero questa parola implicandovi anche la guerra dei sottoproletariati algerini, angolani, kikuyu... Gandhi, Kenyatta... Adopero questa parola implicandovi anche il Ghana, che fra pochi decenni sarà ricco come la Svizzera... Ma adopero soprattutto questa parola come “senhal” geografico per comprendervi la fisicità dei “regni della Fame”, il “fetore di pecora del mondo che mangia i suoi prodotti”. (Il riferimento al fatto storico accaduto a Bandung è marginale e casuale, ecco)».

«La parte ‘negativa’ degli anni Cinquanta, quella che tu chiami “sinistra”, non la prendo neanche in considerazione: do per scontata la sua stupida tragicità. Io mi riferisco alla parte che abbiamo sempre considerata ‘positiva’ di quel decennio: cioè la nostra sopravvissuta resistenza, la nostra opposizione, la nostra vitalità, il nostro rigorismo ideologico e civico, ecc. ecc.»

Arbasino parla poi dell'omicidio di Pasolini come una brutta sceneggiatura nella quale nulla torna, correlandola alla morte analoga di Giangiacomo Feltrinelli: "altro inverosimile presepio costruito con tutte le sue figurine a posto, in base a connotazioni meramente esterne e «per sentito dire» sul conto del personaggio, e clamorosamente ‘impossibile’ per chi lo conoscesse appena un po’."

C'è molto di più di questo nel ritratto di Pasolini. Arbasino affronta il tema della comune dell'omosessualità, a partire dagli scritti della "giovinezza friulana di Pasolini termina bruscamente, come si sa, con scandalo, vergogna, cacciata o fuga da Casarsa. Tutti contro Pier Paolo: il potere cattolico, l’autorità comunista, la figura paterna. Se non fosse stato un trauma talmente drammatico, sarebbe forse paradossale notare che questo scandalo di natura omosessuale ha luogo proprio a Casarsa, Eldorado e Mecca per frotte di omosessuali veneti giacché sede di vaste guarnigioni militari presso i confini orientali dell’Italia, con abbondanza di giovani soldati generalmente meridionali e collettivamente disponibili."
Arbasino evoca il contesto, da lui stesso condiviso, della seconda fase della vita pasoliniana. "Roma, anni Cinquanta: a detta di ogni tradizione orale e di testimonianze innumerevoli, l’ultima età d’oro per la bisessualità mediterranea, latina, rinascimentale, sia popolare sia di élite, come l’hanno conosciuta tanti viaggiatori, per consuetudine antica."
"Le condizioni maschili erano semplici e basiche, secondo i requisiti tipici d’una bisessualità ‘di necessità’ in una società dove le ragazze sono tradizionalmente inaccessibili: non parlare e lasciare agire, perché la ‘cosa’, finché non viene nominata e riconosciuta, non esiste, e non va vidimata neanche con l’offerta di una sigaretta: un po’ l’atteggiamento di quegli americani antichi per cui «Christ, was I drunk last night»."

"Caratteristica principale di quegli anni era infatti l’invisibilità sociale dell’omosessualità: nessuno ne aveva mai sentito parlare (per le generazioni fasciste, era un tema tabù); era poco familiare anche il termine; si supponeva semmai trattarsi di stravaganze limitate a pochi stranieri eccentrici in vena di burle a Capri. Dunque anche le manifestazioni più vistose – coppie avvinghiate, tavolate frenetiche, marinai e bersaglieri portati in divisa a casa e in albergo – venivano tutt’al più attribuite dalla gente a innocenti amicizie, affettuose parentele, «sarà il figlio del suo giardiniere».
«Non ha conosciuto la dolcezza di vivere chi non ha frequentato i moschettieri del Duce» ripetevano certi vecchi gentiluomini che d’altronde, invitati a Corte da Re Vittorio Emanuele e dalla Regina Elena, non dimenticavano di infilare il biglietto da visita negli stivaloni dei corazzieri preferiti. E questo è il background di grandi scrittori e registi come Aldo Palazzeschi e Luchino Visconti, che non si sognarono mai di dissimulare la propria omosessualità, ma la vissero l’uno con ironia, l’altro più fiammeggiante."

Arbasino delinea lo stravolgimento di quel mondo nella terza fase della vita pasoliniana (e sua!).
"L’età permissiva dei movimenti giovanili e della liberazione femminile ha alcune conseguenze decisive: la formazione precoce della coppietta definitiva, non più dopo i vent’anni, ma addirittura a dieci. Smentita, empirica, della tesi della bisessualità antropologica, pagana, dei ragazzi italiani. Fine delle bande avventurose di ragazzi sperimentali; omologazione, omogeneizzazione dei comportamenti. Fine dell’originalità individuale, dei caratteri regionali, del sapore locale. Standardizzazione e spersonalizzazione anche dell’atteggiamento omosessuale, riservato a ‘gay’ o ‘checche’ fatte con lo stampino, invase da galatei che impongono baffi e canottiere e orecchini identici in ogni paese. Ghettizzazione in discoteche dove si ‘investe’ il tempo e i soldi del sabato sera in un amalgama impersonale, o in baretti dove si passano le ore gemendo sui bei tempi passati e sulle nuove malattie.

Inoltre, non solo la droga e le armi rendono ormai pericolose e criminali quelle periferie già familiari e amichevoli: i ragazzi adesso hanno soldi e automobili, oltre che le ragazze. L’arrivo di un’Alfa Romeo in una piazzetta non è più un avvenimento, l’offerta di una pizza fa sorridere di compatimento. Questi sono i temi della mutazione antropologica drammaticamente trattati dall’ultimo Pasolini disperato: forse è stato anche frainteso, perché chi rimpiange un’Italia sana e frugale e lieta può sembrare un nostalgico del fascismo. Ma le motivazioni autobiografiche delle sue anacronistiche invettive contro la società dei consumi e del benessere possono rendere ancora più straziante quella tragica fine di Pier Paolo."

"Pier Paolo portò dunque la sua «provocazione» (che non si chiamava ancora così, e nemmeno «contestazione») direttamente negli ambienti più adatti a prenderla malissimo: i cattolici e comunisti più perbenino e perbenisti, le università ideologiche e provinciali, i conservatori da tinello buono, le periferie violente dove il «diverso» viene assalito con parolacce (e peggio) soprattutto da chi gli ha appena effettuato la prestazione. Fu una «mossa del cavallo» nei confronti della società dello spettacolo. E gli assicurò uno status di «personality» nazionale e internazionale indipendentemente dalle opere."

Pasolini versus Arbasino? No. Stessi ambienti "dove il sesso e soprattutto la sodomia venivano vissuti come commedia e non come tragedia", stessi gusti, stessi maestri.
Diverse inquietudini, però, diverse tensioni, diversa volontà di sfida, "di avversione spontanea verso gli ambienti indulgenti e ironici che vivevano la sodomia come divertimento e non come tormento: i monsignori mondani, i diplomatici sorridenti, le signore in villa, i grandi borghesi in yacht, i letterati internazionali in blazer amici di Truman Capote e Gore Vidal. La café society al gin-and-tonic con le sue allegre trame omosessuali intrecciate come l’ippica e il tennis e il gioco fra cocktails e weekends alla Cyril Connolly ed Evelyn Waugh."
E l'amico Pier Paolo rimprovera l'amico Alberto per "una qualche mancanza di «terribile doglia», cioè di patimento full time: perché non ero [Arbasino] un martire cristiano [...], ma piuttosto un allievo di Bouvard e Pécuchet, un complice di Carmelo Bene)"

C'è altro, molto altro nelle pagine di Arbasino che val la pena leggere come documentazione di tempi e uomini ormai lontani anche dalla nostra sensibilità di non più giovani.
Premonizioni ci furono di quello che sarebbe stato il futuro, ma questi giovanotti alla fine degli anni quaranta affondavano le radici in un humus primi novecento definitivamente esaurito - che non apparteneva già più, se non di riflesso, agli adolescenti degli anni sessanta - e nel loro vivere intensamente gli anni cinquanta, sessanta, settanta (lontani comunque loro, ormai scrittori affermati, dalla partecipazione empatica agli avvenimenti politici e di costume comuni ai nuovi giovani) non potevano possedere il dono della preveggenza circa lo stravolgimento telematico che sarebbe avvenuto da lì a poco.
Troppo e troppo rapidamente tutto è mutato e l'accelerazione legata al cambio di paradigma culturale rappresentato, dopo la televisione, dall'evoluzione rapidissima dei computer ormai si è completamente realizzato, letteralmente trasformando il mondo.
E non è finita qui. Ma è storia che apparterrà ad altri ancora.

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