2016-09-14

C'è mai stata bellezza a Pavia?

Disivan a Vughera (la ridente città delle tre P: puttane, pazzi e peperoni)
"Paves mangia vers mangia cruston e tra via al pusè bon"
Non è mai corso buon sangue tra le due città. I trenta chilometri che le separano sono una cesura.
Per i vogheresi è più vicina Milano anche se più lontana. Da Voghera a Pavia magari ci si viene a studiare o lavorare, anche tutti i giorni, altrimenti il capoluogo è come se non esistesse.
Quelli di Voghera hanno Valentino, Arbasino, ma anche Bolchi regista degli sceneggiati TV che nella seconda metà degli anni '50 hanno disvelato agli italiani i grandi della letteratura e, più indietro nel tempo, Bandirola con la sua Gilera e l'amata scrittrice Carolina Invernizio, 123 romanzi pubblicati, messa all'indice dal Vaticano.
Senza scordare "la munsesa" regina delle ragazze in esposizione della via Mazza Dorino (luogo cult della prostituzione, sopravissuto ancora per qualche tempo alla legge Merlin) a suo modo antesignana della "casalinga di Voghera" assurta a interprete del pensiero dell'italiano medio.
Chi può vantare Pavia di altrettanto internazionalmente famosi?

Ora l'amico Giorgio Boatti scrive, su "la Provincia", "Se a Pavia la bellezza è andata via" e il rettore Rugge replica con "La bellezza di Pavia, cinque modi per esaltarla". Un garbato rimpallo tra due signori per bene che sarebbe da maleducati stroncare. Inoltre, anche se "uno vale uno", come diceva una volta Grillo, chi sono io per intervenire?
Però, da trapiantato a Pavia dal lontano '68, sinceramente tutta 'sta "bellezza" a Pavia non l'ho mai vista. Francamente non mi è neppure chiaro in quale accezione sia stato usato il termine "bellezza".
Sicuramente, dal punto di vista architettonico, Pavia è assai pregevole, a parte i crimini edilizi perpetrati. "È la città del romanico, delle vie e viuzze a trama medievale, dell'acciottolato, del fiume, delle torri svettanti, dei segreti tesori artistici." Scrive Rugge. Un po' scontato, ma vero.
Peccato che stretti e contorti come le "viuzze a trama medioevale" siano i pensieri dei pavesi.
Si parla da sempre di turismo, scienza e saperi. Cambiano le amministrazioni e i colori politici quantunque sempre più sbiaditi e la solfa resta sempre la stessa.
Intrecci d'affari in salsa massonica sono la vera vocazione cittadina. I pavesi comuni restano vittime più o meno ignare e sacrificali di chi a Pavia conta davvero e si muove nei meandri dell'Università come delle cittadelle sanitarie siano esse di antica o nuova fattura. Chiuse le industrie, esaurito il filone produttivo restano i fasti e nefasti di un terziario generalmente arretrato e della sempre rampante speculazione edilizia.
A sì c'è anche il commercio, il vortice oscuro dei mille negozi dai prezzi assurdi che aprono e chiudono in rutilante fantasmagoria. E i bar, gli innumerevoli ristoranti cinesi e non cinesi, gli improponibili prezzi di case ed affitti, la vituperata - dai benestanti residenti - movida dei giovani, unica cosa in movimento in una città fantasma, le notti bianche con cibo scadente, le bancarelle, sempre tristemente uguali, i fuochi che decretano, dopo l'intermezzo dell'Autunno pavese, l'inizio del letargo invernale.
Altroché assessorato alla felicità, annunciato dall'ultimo neosindaco! Un significante senza significato, un po' come la bellezza. Ma non è colpa del sindaco. Questa è Pavia.
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