2011-06-21

Traduzioni traduttori e antiche nostalgie

Leggendo l'articolo di Antonio Armano La Pivano e gli svarioni nel “Grande Gatsby” su Saturno, inserto culturale de Il fatto quotidiano, ho avuto un attacco di "Nostalghia".
Non solo perché l'articolista mi è molto caro, ma perché il testo è costellato di nomi che rinviano ad un passato quando il piacere della lettura era in qualche modo incontaminato.
In ordine d'entrata: Fernanda Pivano, Gatsby, Walter Benjamin, Pavese, Vittorini, Faulkner, Moby Dick... autori, libri e traduttori amori di giovinezza che rileggo oggi con smagata delizia.
E poi salta fuori un premio Von Rezzori.
Da molto lontano mi torna alla mente Un Ermellino a Cernopol e, per associazione, Il tamburo di latta. Titoli che hanno segnato il mio gusto di leggere.
Pochi conoscevano Gregor Von Rezzori e io comprai il libro nella prima edizione della storica collana Medusa di Mondadori. Non so per quale motivo, forse solo attratto dal nome dell'autore e dal titolo del romanzo.
Stessa cosa mi accadde poco dopo con un quasi sconosciuto, all'epoca, Günter Grass, al suo primo romanzo negli Astri Feltrinelli. Un tomo extra large di 600 pagine. Rivelazione sorprendente quell'Oskar dagli occhi celesti ricoverato in manicomio, che dispone la sua risma di "carta vergine", impugna la stilografica carica d'inchiostro e inizia a narrare della nonna dalle molte gonne.
Per imitazione devo aver fatto un rito simile anch'io la prima volta che tentai di scrivere qualcosa.

In quanto alle traduzioni è vero, invecchiano.
Più o meno negli stessi anni nei quali uscì Il tamburo di latta, ad esempio, Einaudi pubblicò la traduzione dell'Odissea di Rosa Calzecchi Onesti ad affiancare l'arcinota ottocentesca di Ippolito Pindemonte. Una versione decisamente più attraente per un giovane lettore.
Pivano, Pavese, Vittorini.
Impossibile dimenticare i due volumi di Americana, di Elio Vittorini, trampolino di lancio verso gli scrittori d'oltre oceano, la sensibilità letteraria di Cesare Pavese o l'infaticabile Fernanda Pivano che oltre alle più famose traduzioni ci ha regalato la conoscenza della beat generation, e di tanti altri autori made in Usa, fino alla sua recente scomparsa.
Forse è un tantino ingrato definirli soltanto "grandi divulgatori", ma va bene anche così. Ce ne fossero di divulgatori dal gusto tanto sicuro! In giro circolerebbe meno robaccia.
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