2008-08-30

...e la chiaman riforma, 'sta riforma, demodé


Strano ministero quello dell'istruzione. Va a finirci quasi sempre qualcuno che di scuola non ne sa una mazza. Moratti (Brichetto Letizia) laurea in Scienze Politiche, collaboratrice di Murdoch (il tycoon internazionale di stampa e tv). Fioroni, dottor Giuseppe, medico, ma in realtà scout, sindaco di Viterbo a trent'anni, uomo d'apparato di stampo democristiano a tutto tondo. Ora questa Mariastella Gelmini, bresciana, con laurea in giurisprudenza ed esame per l'esercizio della professione, svolto a Reggio Calabria.
Il Cavaliere, che nella miglior tradizione caligolesca può far senatori anche i suoi cavalli - oltre ai suoi avvocati - non ha esitato a farla ministro. Fulminante carriera per una appena trentacinquenne. E poi dicono che i giovani non trovano lavoro!
Verò è che poco importa se un ministro non sa nulla di quello che amministra. A farlo ci pensano i burocrati di palazzo, passati indenni da una maggioranza all'altra, specialisti nell'arte di cambiare tutto perché nulla cambi. Infatti la scuola media superiore, tra sussurri e grida, resta ferma alla riforma Gentile, piaccia o non piaccia, ed è lo sfacelo di impostazione pedagogica e programmi che è (ferma restando la bravura di pochi, ottimi insegnanti). D'eccellenza invece era, per internazionale riconoscimento, la scuola elementare che, con il tempo pieno e il rinnovo dei programmi, una vera riforma l'aveva avuta. Poi i picconatori di destra e di sinistra a poco a poco l'hanno sgretolata a partire dalle fantasiose ipotesi del 2x3 (due docenti per tre classi) e 3x4 (tre docenti per quattro classi). Gli addetti ai lavori sanno di cosa parlo, per gli altri sarebbe lungo e noioso spiegarlo. Basti sapere che il tempo pieno è stato abolito non solo nella sostanza, ma anche nella forma. Se nelle elementari - almeno qui da noi - resiste una parvenza di tempo prolungato è solo grazie all'impegno degli insegnanti che si sbattono, per compiacere le famiglie, a conservare modelli ormai svuotati dalle originali motivazioni.
Insomma: di riforme la scuola ne ha viste pochine anche perché ha una sua fisica resistenza istituzionale che le permette di procedere con moto inerziale, strafottendosene dei cambiamenti, accelerazioni o decelerazioni che siano. Così possono convivere nello stesso insieme scolastico enclavi ottocentesche e punte di sperimentazione avanzata senza reciprocamente disturbarsi.
Il pachiderma, nel complesso, procede adagino perdendo sempre più il contatto con la società della quale dovrebbe essere "funzione educante". Un ruolo importante ormai definitivamente perduto.
Dunque una riforma che punta a ristabilire il principio d'autorità con voti in cifre (voto in condotta incluso), esami a non finire (compresi quelli di riparazione), bocciature, grembiulini, maestro unico e chi più ne ha ne metta per un bel salto nel passato, fa solo ridere. Non soltanto per l'inaudito coraggio di chiamarla riforma, ma proprio per la totale assenza di presupposti culturali. Chiunque abbia qualche conoscenza pedagogica sa come non siano questi gli elementi sui quali si fonda la credibilità di un sistema educativo. Purtroppo la pedagogia, così come la scienza e la tecnologia, sono sempre state le grandi assenti della nostra scuola. A lungo si è potuto diventare insegnanti senza alcuna competenza psico-pedagogica e anche questo forse è uno dei motivi per i quali viviamo in una nazione dove i lettori sono meno di un terzo della popolazione. Per un italiano in grado di leggere comprendendo il significato di quanto va compitando ce ne sono due dei quali uno è analfabeta e l'altro rischia di ridiventarlo. Tragico. In queste condizioni parlare di riforma nei termini in cui si parla ha della burla.
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